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Il triste fenomeno del finning

 

Vi piace pasteggiare a ostriche e Champagne? Per alcuni è più uno status symbol che un vero piacere, ma se foste cinesi, originari di Hong Kong o di Singapore, probabilmente preferireste avere sulla vostra tavola un piatto di zuppa di pinne di pescecane. Bastano dai 10 ai 100 dollari e il piatto da gourmet è servito. Nel termine “finning” che, letteralmente, significa “spinnamento” si può ricercare una delle principali cause, se non quella principale, del crollo della popolazione degli squali cui si è assistito nei mari e negli oceani del mondo negli ultimi vent’anni. Il sistema funziona più o meno così: gli squali, piccoli o grandi che siano, vengono pescati, issati a bordo, mutilati delle pinne e rigettati in mare, talvolta ancora vivi. Le pinne, una volta riportate a terra, vengono essiccate e poi utilizzate per soddisfare i palati di milioni di orientali. La zuppa di pinne di pescecane, una volta appannaggio dei ceti più benestanti, con il recente sviluppo economico della Cina, sta diventando alla portata anche dei ceti tradizionalmente meno abbienti con conseguenze disastrose per l’ecosistema marino. Quel che è peggio è che la pinna, di per sé, non concorre all’insaporimento della zuppa essendo pressoché insapore, ma data la sua elevata disponibilità in fibre di collagene, ha esclusivamente la funzione di fornire la giusta consistenza all’intruglio infernale. Il sapore vero e proprio viene infatti conferito alla zuppa da qualche altro ingrediente quali crostacei, carni bianche e di maiale, vegetali, salsa di soia, brodo di pollo e vino di riso.

Tonnellate di carne buttate a mare

La carne di squalo, sebbene compaia di frequente sulle nostre tavole (spesso a nostra insaputa), non è di particolare pregio e, rispetto alle pinne, è sicuramente meno remunerativa per chi fa della pesca il proprio mezzo di sostentamento. La tendenza attuale è pertanto quella di concludere la battuta di pesca quando le stive sono piene di pinne di squalo, e di gettare a mare il resto delle carcasse. Con i moderni mezzi di pesca a larga scala, purtroppo, possono essere immesse sul mercato tonnellate di questo prodotto in tempi irrisori. Sebbene esistano dati contrastanti, si stima che circa 8000 tonnellate di pinne vengano vendute ai ristoranti di tutto il mondo ogni anno. La sola Spagna, nel quinquennio 1995-2001, si è resa responsabile dell’esportazione verso Hong Kong di circa 800 tonnellate di pinne. Considerando che il peso delle pinne rappresenta dall’1 al 4% del peso complessivo di uno squalo, al di là delle doverose considerazioni etiche, è evidente come lo “spreco” di carne sia immenso. Oggetto del finning sono decine di specie di squalo: dal mako al martello, dallo squalo bruno alla verdesca, fino a giganti quali il cetorino e lo squalo balena. Le pinne utili alla commercializzazione sono la prima dorsale, le pettorali ed il lobo inferiore di quella caudale. Quelle restanti, di seconda scelta, spesso non vengono asportate. Il destino di quel che resta dello squalo è atroce: impossibilitato a nuotare, è destinato ad affondare nelle profondità marine e a morire lentamente, o ad essere divorato da altri predatori.Stop al finningMettendosi nei panni di chi vive di pesca in determinate zone del mondo, è evidente che uno stop definitivo alla pesca degli squali rappresenterebbe un disastro. Ciò che dovrebbe essere messo in atto è, invece, una cosa ben diversa: il divieto assoluto di praticare il finning in tutti i mari del mondo, lasciando tuttavia spazio alla pesca degli squali previa definizione di quote di cattura sostenibili dall’ecosistema marino. Qualcosa è già stato fatto in merito: il finning attualmente è proibito in molti paesi, tra i quali Stati Uniti, Canada, Australia e Brasile. A Palau, è stata del tutto bandita la pesca agli squali, mentre alle Maldive lo sarà a partire da Marzo 2010. Nel Belpaese, invece, sebbene la pesca allo squalo non sia proibita, le pinne non hanno alcun valore commerciale rendendo il finning un fenomeno marginale, se non del tutto assente. A cercare di porre un freno al fenomeno del finnig è Shark Alliance, una coalizione internazionale che raggruppa 75 organizzazioni di ricerca, associazioni ambientaliste e ricreative il cui scopo è la conservazione degli squali. La Shark Alliance coinvolge acquari, centri di immersione, organizzazioni di tipo ambientalista e centri di ricerca di diversi paesi dell’Unione Europea ed extra UE. Italia, Germania, Francia, Malta, Spagna, Belgio, Regno Unito, Svezia, Finlandia, Polonia, Paesi Bassi, Irlanda e Portogallo sono impegnate nell’organizzazione di attività ed eventi finalizzati alla divulgazione della situazione drammatica in cui versano gli squali e a promuovere azioni che consentano di limitare il loro costante sterminio e, soprattutto, porre la parola fine alla pratica del finning. Al di là dell’oceano, WildAid, un’associazione ambientalista no profit, nel 2000 ha abbracciato la causa degli squali con il progetto “Shark Conservation Program”. Quest’ultimo si pone l’obbiettivo di proteggere gli squali dalla pesca intensiva tramite long lines e, ovviamente, portare all’attenzione internazionale il problema del finning.

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